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La Passione di Santa Margherita

Nell’ambito del programma di Art City
Segnala 2020, in occasione di Arte Fiera Bologna

Casagallery presenta la mostra dal titolo:

La Passione di Santa Margherita

Artisti: Barbara Ceciliato, Roberta Fanti, Serena Shan Yang Lin, Tomomi Takamatsu

Curatore: Claudio Rosi

Testo critico: Carmen Lorenzetti

Contributi critici: Yelenia Bonaroti, Angela De Pasquo, Simona Tonti

Spazio Espositivo:

Ex Refettorio delle Monache, Convento S.Mattia – Museo della Resistenza-Istituto Storico Parri di Bologna, via S.Isaia, 20

Inaugurazione: ore 18, mercoledi 22 gennaio

Periodo: dal 22 al 31 gennaio 2020

Segue una selezione d’immagini della mostra prodotte dalle Assistenti Angela De Pasquo, Valeria Piunno, Simona Tonti e dal Prof. Giuseppe Cavallini.

La Passione di Santa Margherita

La mostra, organizzata da Casagallery, e curata Claudio Rosi, si svolge all’interno del Museo della Resistenza – Istituto Storico Parri di Bologna, organismo dedicato alla storia della Seconda Guerra Mondiale, la cui mission è quella di coltivare la memoria in un periodo storico in cui ciò è oltremodo necessario. Le sue stanze un tempo ospitavano il monastero di San Mattia di monache domenicane, iniziato nel 1376, attiguo alla cinquecentesca chiesa omonima. Dell’antico edificio rimangono lacerti di affreschi, tra cui quello cinquecentesco dedicato a Santa Margherita. Santa Margherita di Antiochia era una giovane quindicenne che fu incarcerata perché cristiana durante l’impero di Diocleziano e venne decapitata nel 290. Qui viene rappresentata mentre fuoriesce dalle viscere del diavolo che l’aveva visitata in carcere, di qui l’attributo di protettrice delle partorienti, con in mano un candido giglio simbolo della sua purezza, perché non aveva voluto cedere alle lusinghe della carne, e una piccola borsa la cui funzione è oscura. Dedicare una mostra a questa figura e al suo martirio significa proporre in primo luogo un aggancio storico e religioso squisitamente femminile, alla storia del pathere  (dal greco pathos, sentire e soffrire), alla secolare storia della sottomissione e della sofferenza della donna. Il riferimento viene fatto nel segno della vicinanza e della condivisione di atmosfere di sofferenza, che arrivano fino al sacrificio ultimo in nome del proprio ideale. Questa nota profonda non è affatto estranea neanche al legame con la storia dell’Istituto Parri. Quindi un cortocircuito virtuoso si crea tra le finalità dell’Istituto, le antiche stanze e le sue immagini e questa mostra composta da quattro artiste.

Il video di Barbara Ceciliato dal titolo I cieli di Linda, 2020, è un omaggio a sua madre, che negli anni ’90 fotografò regolarmente con una polaroid un punto preciso del cielo con una ricerca di stampo spirituale. Barbara ha prelevato affettuosamente questo familiare objet-trouvé e ne ha fatto un lungo video che ricrea con grande delicatezza questo sforzo, questa abitudine e questa attenzione. Le fotografie sono spesso solarizzate, frutto dell’improvvisazione manuale, ma il video le trasfigura e le ricompone e i diversi cieli trapassano l’uno nell’altro creando una storia fatta di immagini e suoni lontani, di campagna, di realtà paesane, che, raccolti insieme, donano un’immensa impressione di quiete. La seconda opera di Barbara troneggia sopra un leggio, un libro d’artista intitolato I paesaggi del disordine, che è costituito da pagine di materiale diverso, con trasparenze divisorie, pagine spesse, collage e appliques, segni astratti e accenni a china ad alberi, fronde, dossi e colline. Sembra che si sia voluto inserire a forza nel libro l’intero scibile delle possibilità artistiche con lo stesso modo affastellato con cui le immagini si susseguono implacabili nel nostro povero cervello surriscaldato. Questo libro è una metafora quindi dell’intero nostro sistema che rimpinza di figure cervelli e strade, case e scuole. Non c’è più uno spazio libero e a tutti i sistemi possibili astratti o figurativi conviene convivere per potere apparire ed essere anche fuggevolmente visibili in una condizione che come direbbe Luciano Floridi è quella della always-on-life. Non ci spegniamo più… La serie di terrecotte disposte a gruppi e intitolata La pelle della scultura è la terza proposta di Barbara. Lembi allungati, rotondeggianti, sfrangiati di terracotta trattata a cera sono metafora della pelle, la pelle della scultura come la pelle umana, una rappresenta l’altra, in questo modo ci si riferisce alla scultura in maniera assolutamente mimetica, con attenzione lenticolare e con una riproposta anaforica. Per secoli la superficie della scultura è stata trattata, polita, lisciata finanche rifinita a cera “come se fosse carne” così almeno faceva Antonio Canova ed ora quella superficie viene riprodotta metonimicamente e, dato che siamo nel XXI secolo, quella pelle è anche indicalmente epidermide carnale. Non male come corto circuito.

Particolarmente indicata è l’opera di Roberta Fanti il cui piccolo recente trittico fotografico è intitolato Le Martyre de l’Artiste (Gina Pane Tribute), 2020. L’artista ripropone i famosi simboli della performer francese, la ferita autoinflitta con la lametta e le rose bianche e rosse, un richiamo esplicito alle scene di martirio di santi. Lo fa con una scansione triadrica di medievale memoria e con un close-up vertiginoso che appaia superfici e colori con grande equilibrio e pulizia formale: la scena performativa è stata epurata dell’azione e rimangono iconici simboli, resti, tracce e testimonianze a memoria. La fotografia raggela le carni, le fragranze, i suoni e su tutto impera il silenzio e la melanconia del ricordo. L’idea dell’accostamento di simboli è una costante della poetica di Roberta che spesso ha costruito dittici fatti da una parte di carne sofferente e dall’altra di oggetti simbolici, con richiami alla vita, alla morte e su tutto all’eros. Nell’ambito della mistica il dolore più estremo è vicino al piacere più grande e la spiritualità diventa la cartina di tornasole del paganesimo nell’eros e nella morte. Antonin Artaud e, ancor più indietro, il Marchese de Sade sono gli esempi più famosi di questi esilaranti e pericolosi accoppiamenti di amore e morte per supplizio. La religiosità quindi trascolora nell’eros, la spiritualità nella carne o dovrei dire viceversa? Ricorrendo al solito e cristiano moto ascensionale delle cose… La stampa plotter di I need you, 2012, è una ulteriore testimonianza di questo procedere, ma questa volta il messaggio è avvolto in un rotolo di orientali assonanze. Un braccio proteso verso una rosa bianca irraggiungibile, vi è lo sforzo e la sua vanità in quest’atto, l’aspirazione negata forse anche ironicamente, perché è quasi una constatazione sulla costante illusione umana. Infine The end of the world 2, 2012 è un video con il primo piano di un occhio che tenta disperatamente di non chiudersi e che poi si chiude solo una volta. C’è un colto richiamo ad Eye Blink (1966) di Yoko Ono, uno dei must della maratona cinematografica Fluxus, ma mentre allora l’accento era posto sulla semplicità inevitabile del nostro gesto quotidiano, qui il gesto si trasfigura in qualcos’altro, diventa sintomo di uno sforzo, un’attitudine imposta per trascendere proprio l’hic et nunc e anelare a qualcos’altro, una purificazione che premia sempre dopo il superamento di un ostacolo.

Una riflessione tutta dedicata a Santa Margherita viene fatta da  Tomomi Takamatsu, che accoglie il visitatore durante la vernice vestita con un kimono decorato con margherite e compie una performance di Canto Gregoriano che ha tutti i caratteri di una cerimonia. Sfila tra gli astanti con una catena di origami decorati con ideogrammi che indicano stati d’animo positivi e negativi come la grazia e la sofferenza. In questo gesto ripete l’usanza giapponese di donare gli origami ai familiari in ospedale: un gesto di pietas. Presenta anche l’opera Margherita e i fiori del Drago Nero, ricami rappresentanti il fiore della margherita in omaggio alla santa e lo ha fatto prelevando i caratteri e la tecnica dall’antica sapienza ottocentesca delle famose ricamatrici dell’Aemilia Ars. I centrini sono disposti su un basso tavolino giapponese, che simboleggia l’atto di mangiare il cibo quotidiano, una quotidianità segnata dal segno della croce, che viene tracciata attraverso luminosi fili candidi che sostengono il centrino sul tavolo scuro. Infine troviamo l’installazione Lacrime celesti: il libro del Nuovo Testamento aperto su un salmo che si riferisce alla beatitudine, ha sopra ha un centrino mezzo disfatto i cui fili entrano in un vaso trasparente ad indicare le lacrime che vengono versate per la giustizia divina. L’artista e performer nelle sue opere recupera e cita gesti e forme antiche provenienti dal suo paese, rimettendo in circolo esperienze ataviche che mescolano in modo unitario e sentito sacro e profano. Rinascono così le cose a nuova vita in un accorato invito a non dimenticare e a collegare con fili sottili e raffinati il presente con il passato. Nel contempo il riferimento al paese natio, se da una parte è il segno di un radicamento antropologico, dall’altro indica l’universalità delle tematiche che vengono affrontate dalla religione. 

Infine Serena Shan Yang Lin, attrice, scrittrice e musicista suona nella serata finale lo guzheng, uno strumento cinese che fa parte della famiglia delle cetre ed ha ben ventuno corde, quindi è richiesta una particolare abilità alla musicista, che lo suona con plettri o unghie artificiali applicate alla mano destra con cui pizzica le corde. E’ un antico strumento che veniva usato nelle orchestre della corte imperiale e poi si è diffuso per un uso prezioso ma più popolare nel XIX secolo. Abbiamo quindi il piacere di avere ben due concerti con questo raro strumento e musica composta dall’artista, che avranno luogo durante l’importante serata finale della White Night di Art City. Anche qui l’antica tradizione sopravvive mescolata ai gesti poetici della contemporaneità dell’arte.

Carmen Lorenzetti

Ulteriori riflessioni

e

contributi critici

La Passione di Santa Margherita

Situato nel convento di San Mattia e inserito all’interno dell’Istituto Storico Parri di Bologna, l’ex refettorio delle monache è un luogo ricco di storia, spiritualità e memoria antica.Qui il passato tenta continuamente la riemersione, preme e spinge dalle pareti affrescate che lo vestono per uscire dalla dimensione del tempo e invadere finalmente quella dello spazio. Casagallery è riuscita a mettersi in ascolto di questo luogo creando un passaggio permeabile e percorribile in entrambe le direzioni, costruito nel dialogo indissolubile che lega il passato al presente. Barbara Ceciliato, Roberta Fanti, Serena Shan Yang Lin e Tomomi Takamatsu sono le quattro voci protagoniste di un coro eterogeneo che mescola i linguaggi della performance art, del video, dell’installazione e della scultura. La composizione si modula intorno ad un tema condiviso quello della figura di Santa Margherita di Antiochia, incarcerata e decapitata nel 290 d.C. durante le persecuzioni dell’imperatore romano Diocleziano contro i cristiani e rappresentata con i suoi simboli nelle pareti affrescate del refettorio. Lo spirito e la carne sono i due punti di vista privilegiati a partire dai quali le artiste interpretano l’esperienza, al contempo religiosa e laica, della passione e del martirio, della sofferenza e della redenzione, accostando ognuna i propri riferimenti biografici, culturali ed artistici. La composizione genera così un movimento centrifugo e centripeto allo stesso tempo, dove la storia del luogo assume i tratti intimi e personali della storia di ognuno di noi.

La curatela di Claudio Rosi, risignifica la morfologia dell’ambiente, trasformando le stanze del Refettorio in uno spazio basilicale.

Le Martyre de l’Artiste (Gina Pane Tibute) è l’altare sul quale Roberta Fanti sublima l’azione liturgica-performativa del martirio nella dimensione del simbolo. L’artista deposita i segni iconici della passione in una costruzione trittica dove rose bianche e rosse si alternano a carni recise. Si tratta di immagini che ribadiscono il loro essere immagini, la loro bidimensionalità fino a creare un cortocircuito visivo nella ripetizione del supporto fotografico dove anche la cornice è rappresentata. Gli elementi che compaiono nell’opera sono un chiaro riferimento alle azioni rituali e performative dell’artista Gina Pane, la quale, sosteneva che la fotografia fosse il supporto più logico per parlare di corpo. Per questo motivo le sue prime performance avvenivano alla presenza della sola macchina fotografica, incaricata di registrare e documentare l’evento che si sarebbe composto, successivamente, in una sequenza di immagini.

La parete opposta al piccolo altare, viene sfondata da un rosone che apre la visione a cieli e spazi sconfinati, si tratta dell’opera I cieli di Linda dell’artista Barbara Ceciliato. Il video è un toccante omaggio alla madre Linda che con tenacia e dedizione amava fotografare e interrogare ogni giorno sempre lo stesso cielo finendo per trovare, in quell’orizzonte sempre uguale, centinaia di cieli diversi. Le immagini amatoriali hanno un’aura di verità e immediatezza. L’angolazione non è mai perfetta, la luce accecante del giorno sovraespone la pellicola e scioglie i contorni di tutto ciò che incontra; lo sguardo vuole andare oltre la semplice visione per cercare l’apparizione. L’archivio di famiglia, di cui fanno parte le fotografie in mostra, conta più di cinquecento diapositive che l’artista ha selezionato ed esposto per l’occasione trasformando in digitale una memoria analogica nel tentativo di preservarla e renderla eterna.

Al centro della stanza, una luce direzionale e attenta punta il riflettore sull’opera I paesaggi del disordine di Barbara Ceciliato e la fa emergere dall’oscurità dell’ambiente. Si tratta di un grosso album dal quale straripano fogli, segni, schizzi e disegni a matita. Si tratta di un altro archivio che prolifera e si origina a partire da un accumulo di materiale artistico. Un magma creativo sedimentato e raccolto negli anni, un diario di cui sono state strappate e rimescolate le pagine senza nessun ordine temporale. Una memoria che non vuole ordinare, dare un senso o un tempo ad ogni cosa ma che stratifica, sovrappone e accumula. Barbara Ceciliato sceglie come supporto un leggio, oggetto memore di una liturgia intima e personale e allo stesso tempo universale, talmente ben inserito nella cornice religiosa del luogo da partecipare alla significazione dell’opera.

L’opera di Roberta Fanti The end of the world 2 prosegue lo sforzo di superare ciò che è visibile per accedere ad una dimensione altra. La ripresa fissa del video inquadra un occhio nel tentativo di non chiudersi. Quando le palpebre rimangono aperte per troppo tempo, la visione sfoca e si appanna, la realtà sfuma i suoi contorni fino al limite ultimo in cui l’occhio si richiude inesorabilmente. I need you di Roberta Fanti è una riflessione che continua il dialogo costaste con le opere presenti in mostra. Si tratta di una stampa fotografica su plotter posizionata a pavimento, una parte è ancora arrotolata su se stessa mentre l’altra ci viene mostrata. Un braccio emerge dallo sfondo nero e si protrae verso una rosa bianca nel tentativo di afferrarla e ci racconta della difficoltà a raggiungere la dimensione simbolica a cui quel fiore allude. Esattamente sopra l’opera della Fanti troneggia l’immagine affrescata di Santa Margherita di Antiochia con i simboli della sua passione e del suo martirio a testimonianza di un passato non ancora destituito.

Nell’opera La pelle della scultura, situata nella navata laterale della stanza, la spiritualità al contempo intima e religiosa spinge per tracimare e debordare fino all’estremo limite della carne. Barbara Ceciliato modella nelle sue sculture lingue di terracotta e di fuoco che fuoriescono da tre piedistalli simili a bracieri. Un incendio che divampa a pentecoste dal quale affiorano calchi di volti umani appena abbozzati che premono per esistere.

La storia di questo luogo e la figura di Santa Margherita trovano una perfetta collocazione infine nelle installazioni dell’artista giapponese Tomami Takamatsu. Gli elementi tradizionali della cultura orientale interpretano le vicende legate alla vita di Santa Margherita riuscendo ad accordare in maniera armoniosa linguaggi artistici differenti.

In Lacrime celesti, la riflessione si formula a partire dalle pagine aperte di un libro sacro in cui si scorgono parole di beatitudine e redenzione. Alcune di queste sono rese illeggibili da sottili fili argentati che legano le scritture per poi scivolare come lacrime in un vaso. La resilienza e il sacrificio per giungere alla salvezza prendono consistenza e forma all’interno di un contenitore la cui trasparenza lascia ogni cosa visibile. Nell’opera Margherita e i fiori del Drago Nero l’artista ripercorre invece i lunghi tormenti attraversati dalla giovane santa, rinchiusa a soli quindici anni in carcere. Un tappeto di origami modellati a ninfee e posizionate a terra accoglie i visitatori. Sono i dolori e i tormenti di Santa Margerita che ancora una volta prendono forma e consistenza. Alcuni di questi fiori sono contenuti all’interno di ciotole tradizionali giapponesi dove quotidianamente viene servito il cibo. Si narra infatti, che il demonio comparve a Margherita mentre era in carcere nelle sembianze di un drago che la divorò. La giovane santa però, armata della sua croce, riuscì a squarciare il ventre e uscire vittoriosa. Cibarsi dei propri dolori diventa così un gesto consolatorio, un tentativo di vincere il male in qualsiasi forma esso si presenti. La performance dell’artista Tomami Takamatsu chiude la rappresentazione sublimando ogni cosa nel canto. Vestita di un kimono decorato di piccole margherite, l’artista avanza per raggiungere il centro della stanza. Stringe tra le mani una collana di origami sui quali compaiono parole tratte dal Vangelo scritte in ideogrammi giapponesi. Con una bacchetta disegna quelle parole nell’aria e inizia ad intonare antichi canti gregoriani in grado di dare corpo all’intima spiritualità di questo luogo.

Tomami Takamatsu non è la sola artista ad essere intervenuta con una performance musicale. Serena Shan Yang Lin, in occasione di Art City White Night ha deciso di esibirsi con un Guzheng; antico strumento a corde tipico della tradizione cinese. La presenza costante del canto e della musica è un modo per avvicinare e sintonizzare lo spettatore alla sacralità di uno spazio ricostituito dal quale non si può che uscirne ridestati.

Ylenia Bonaroti

Ulteriori riflessioni

e

contributi critici

La Passione di Santa Margherita

Per tutte le sue esposizioni, Casagallery sceglie di creare un legame tra le opere esposte e il luogo che le ospita, ricco di memoria e spiritualità. Per La Passione di Santa Margherita, a cura di Claudio Rosi, le artiste coinvolte si sono ispirate all’affresco raffigurante Santa Margherita di Antiochia, presente in una delle sale dell’ex Refettorio delle Monache, che da anni accoglie le iniziative della galleria. Per la mostra presentata in occasione di ART CITY Segnala, evento collaterale ad Arte Fiera, le artiste Barbara Ceciliato, Roberta Fanti e Tomomi Takamatsu hanno preso spunto dalla figura della giovane martire per dare vita alla propria idea di Passione, ognuna seguendo strade diverse.

Scavando tra i suoi ricordi, artistici e familiari, il fulcro della ricerca di Barbara Ceciliato è il concetto di memoria. La pelle della scultura è l’istallazione in cui la terracotta è plasmata come pelle, sulla quale agisce il tocco, la memoria tattile dell’artista. Una scultura atmosferica che vede queste forme interagire con lo spazio, completarsi grazie al legame con esso. I cinquanta fogli che compongono i Paesaggi del disordine sono sovrapposizioni, accostamenti di elementi diversi creati nel corso della carriera dell’artista, frutto del suo caos creativo. Una memoria familiare viene presentata ne I Cieli di Linda, un video prodotto dal montaggio di 500 polaroid scattate negli anni ’90 dalla madre dell’artista, in seguito a un lutto familiare. Scatti ossessivi di un punto fisso nel cielo cercano un legame con la persona scomparsa e tentano di aprire una porta per il Paradiso. I suoni di una natura calma e pacifica accompagnano la proiezione e accentuano la dolce tristezza trasmessa dagli scatti.

Roberta Fanti omaggia Gina Pane nel trittico Le Martyre de l’Artiste (Gina Pane Tribute), in cui tre fotografie ripropongono alcuni simboli della celebre performer elevati a immagini simboliche. Le immagini raffreddano la carne e le atmosfere, lasciando il posto al silenzio e al ricordo. Con lo stesso procedere attraverso fotografie di corpi-simboli I need you presenta un braccio che tenta di raggiungere una rosa bianca, ma è destinato a fallire, portando a riflettere sull’illusione umana. Il video The end of the world 2 parte da un richiamo a Fluxus e ad “Eye Blink” di Yoko Ono, per trasformare un gesto quotidiano come lo sbattere delle palpebre in una rappresentazione di un destino inevitabile per tutti gli esseri umani. Attraverso una resa minuziosa dei dettagli e con continui rimandi ai testi sacri, Tomomi Takamatsu presenta una riflessione interamente dedicata a Santa Margherita. Margherita e i fiori del drago nero mette in scena le quotidiane sofferenze che la giovane martire ha dovuto sopportare pur di poter affermare la propria fede. In equilibrio precario su una croce di fili, un delicato e prezioso ricamo è circondato da fiori neri, i fiori del drago, i fiori del male. Il tutto rimanda alla vicenda della santa che con una croce squarcia il corpo del drago che l’ha inghiottita. Un riferimento al dolore è presente anche in Lacrime celesti, nella quale i fili che avvolgono il salmo delle Beatitudini rappresentano le sofferenze necessarie per ottenere la salvezza eterna. Oltre alle istallazioni, ampio spazio è stato dedicato alla performance. Per la serata inaugurale della mostra e per quella finale, infatti, Tomomi Takamatsu si è esibita in una performance di canto gregoriano, vestita in abito tradizionale giapponese. Un fusione, quindi, tra due culture, tratto distintivo del suo lavoro.

In occasione di ArtCity White Night, la musicista Serena Shan Yang Lin si è esibita in due performance col suo Guzheng, facendo dialogare le note di questo antico strumento con le opere delle artiste e con l’intenso misticismo trasmesso dal luogo.

La mostra non ha lasciato nulla al caso, ogni elemento ha aggiunto il proprio significato, contribuendo al concetto di fondo dell’intera esposizione. Non ci si è limitati all’arte contemporanea, ma vari elementi si sono fusi insieme: il dialogo tra antico e moderno, l’unione tra la storia e le atmosfere del luogo con le personali interpretazioni delle artiste, la pluralità di linguaggi adottati. Il tutto per la messa in scena di un’esperienza completa.

Angela Di Pasquo

Ulteriori riflessioni

e

contributi critici

La Passione di Santa Margherita:

quattro personali percorsi creativi, tra drammaticità e delicato lirismo. Immerse in un’atmosfera evanescente, le sale dell’Ex Refettorio delle monache, con i loro affreschi quattrocenteschi, fungono da cornice e concept de La Passione di Santa Margherita, la mostra organizzata da Casagallery in occasione di Art City Segnala. L’esposizione, a cura di Claudio Rosi, vede protagoniste le opere di Barbara Ceciliato, Tomomi Takamatsu, Roberta Fanti con performances musicali di Serena Shan Yang Lin e della stessa Takamatsu. Quest’ultima ha inaugurato la mostra intonando canti gregoriani e indossando un kimono la cui tradizionalità è accentuata dall’aggiunta di una catena di origami: lettere a forma di margherita riportanti sul retro un idiogramma dal significato non rivelato. All’apertura delle lettere si scoprono commenti a versetti della Bibbia e Salmi. In particolare il Salmo 56.8 è uno dei materiali costitutivi dell’installazione Conta lacrime che evoca il momento in cui Santa Margherita, giunta a consapevolezza del suo destino di martire, versa lacrime che la Takamatsu immagina di raccogliere, con la delicatezza che contraddistingue le sue opere, all’interno di un vaso di vetro. Le lacrime sono rappresentate da un aggrovigliato filo azzurro che proviene da un ricamo di gusto Liberty realizzato con la tecnica “punto in aria”. Questa è stata tramandata nel tempo dai maestri della scuola di arti applicate Aemilia Ars, fondata a Bologna nel 1898 da Alfonso Rubbiani. Un altro ricamo, con eleganti figurazioni fitomorfe ed influssi goticizzanti, spicca su un tavolino dall’essenzialità zen, soffocato e oppresso da una trentina di fiori di colore digradante, dal nero al bianco. Con questa installazione, dal titolo Margherita e i fiori di drago nero, l’artista ha voluto rappresentare un episodio specifico della vita della santa: la visita del demonio, sotto forma di drago, che inghiottisce Margherita, la quale riesce a liberarsi squarciandogli il ventre con una croce di legno. Così la Takamatsu fonde la tradizione cristiana con l’iconografia giapponese, creando opere dal forte impatto visivo. I materiali che utilizza sono poveri: si tratta di carta velina, filo da cucito, vetro che ella trasforma, grazie alla sua abilità manuale, in installazioni dal design raffinato.

Un forte interesse per i materiali e la loro manipolazione lo ritroviamo anche in Barbara Ceciliato. La sua Pelle della scultura è una serie di terrecotte disposte a gruppi. Si tratta di lembi sottili, allungati, dinamici, che rimandano al colore e alla consistenza del cuoio. Essi paiono in movimento nonostante la loro effettiva staticità: pelle viva che si contorce alla ricerca di un corpo che le dia forma. Ma cosa sarebbe tale pelle? È la materia di aristotelica memoria che, insieme ad una forma, costituisce l’essenza necessaria di una cosa ovvero ciò per cui una cosa è quel che è e in base a cui si differenzia da tutte le altre. Mentre le caratteristiche sensibili della cosa mutano, l’essenza permane sempre identica a sé stessa. La Ceciliato ha dunque voluto rappresentare la sostanza umana che si identifica con l’essere e risulta formata da una materia, la pelle, che ha la possibilità di prendere forma in un corpo solo grazie alla forma che può trasformare tale potenzialità in atto. La pelle è dunque potenza del corpo. Appassionata sperimentatrice, l’artista, passa dalla bidimensionalità della pittura alla tridimensionalità della scultura e ora mostra interesse per i linguaggi digitali e realizza l’installazione video dal titolo I cieli di Linda. Si tratta di una composizione di 500 polaroid scattate dalla madre dell’artista a partire dal 1992. Le foto ritraggono sempre lo stesso scorcio di cielo, quello che la donna vedeva dalla sua casa di campagna. È un album di scatti molto intimo, personale che testimonia gli impercettibili turbamenti che, nel cielo, può osservare chi ha compiuto il medesimo viaggio di Linda; chi ha vissuto lo stesso dolore. Questo, col passare del tempo, sembra però essersi acquietato tant’è che la serie, nella sua struggevolezza, trasmette la pacatezza di tale memoria. Lo fa attraverso una luminosità calda e avvolgente, una certa felicità coloristica e un sonoro composto da rasserenanti cinguettii. Il tema della memoria ritorna nella terza proposta dell’artista dal titolo I paesaggi del disordine. Si tratta di un vecchio album di matrimonio che la Ceciliato ha recuperato da un mercatino facendone un interessante libro d’artista. Ogni pagina è costituita da un assemblaggio di materiali differenti: abbiamo carta opaca, retinata o plastificata su cui sono stati tracciati segni astratti con la china. Oltre a un semplice ma marcato linearismo, troviamo motivi fitomorfi, accenni ad alberi e colline. Si tratta di paesaggi immaginari, irreali, che rimandano ad un’ulteriorità che altro non è che la memoria. Infatti, tutti i materiali sono stati recuperati dallo studio dell’artista, dove giacevano conservati. Ognuno di essi costituisce un ricordo di sensazioni, riflessioni e situazioni passate. È come se le immagini di tali eventi si succedessero nella mente, disordinate e confuse, e il libro fosse l’unico mezzo atto a concretizzarle attraverso una stratificazione di materiali intesa appunto come stratificazione di memorie.

Anche i lavori di Roberta Fanti ben si inseriscono nel clima mistico e introspettivo della mostra. Attraverso un forte rimando all’ affresco, presente in sala, in cui la scena cristologica della passione di Santa Margherita infonde piacere più che repulsione, l’artista crea un’immagine di grande impatto visivo, percorsa dal sottile confine tra spiritualità e piacere. L’opera a cui si fa riferimento è I need you, una stampa plotter su pvc realizzata prelevando immagini dall’immenso repertorio iconografico di internet. Essa si presenta come una sorta di narrazione iconica fotografica, con due immagini giustapposte, il braccio proteso in avanti e la rosa bianca, protagonisti di un processo volto all’abbandono della corporeità in funzione di un’ulteriorità. Che questo processo sia già in atto lo si può notare dal frammento del braccio: questo appare opaco, smaterializzato, come se si trattasse di un manichino. È dunque il corpo che si appresta ad abbandonare la propria carnalità, le pulsioni più recondite, ad espiare i propri peccati, per poter finalmente raggiungere la tanto agognata rosa, simbolo di spiritualità e bellezza che si apre all’amore. La Fanti gioca sul dualismo e l’antiteticità di inquadrature poste a speculare confronto per approdare ad un’ armonia tra gli opposti, ad una dimensione di quiete e di atarassia: da un lato un’immagine, raffinata e non cruenta, di sofferenza e tensione, dall’altro un’icona, volutamente enfatizzata nella misura e nella tinta, di un elemento floreale emanante un senso di soavità e liberazione. La logica del “dolore edonistico” la si ritrova anche nell’opera Le Martyre de l’Artiste, trittico fotografico omaggiante la performer francese Gina Pane. Qui la scena performativa è stata epurata dell’azione e rimangono iconici simboli: la ferita autoinfitta con la lametta e le rose bianche e rosse. Il tagliarsi consente alla Pane di aprire il proprio corpo all’umanità e di utilizzarlo come cassa di risonanza della società. Per l’artista il dolore è l’unico sentimento universalmente condivisibile, pertanto, attraverso i tagli, ella riesce a sentire lo spettatore parte di sé. Le rose sono invece simboli del martirio dei santi: il rosso rimanda al sangue e dunque alla passione, il bianco alla liberazione. Durante la terza fase della sua produzione artistica, la Pane recupera fotografie, storie e reliquie di martiri. Di questi ammira il percorso che hanno compiuto per giungere all’accettazione della propria fine in vista di un bene maggiore: la beatitudine. La terza proposta della Fanti è l’opera The end of the world 2, tributo, questa volta, ad Eye Blink (1966) di Yoko Ono. Se per il movimento Fluxus può essere arte qualsiasi gesto, anche il più quotidiano sbattere le palpebre, per la Fanti l’arte è puro pensiero che, rapportandosi all’universo sensoriale, ricerca una sua dimensione. L’installazione video mostra, pertanto, un occhio che volge lo sguardo verso l’esterno e scruta lo spettatore che, a sua volta, è indotto da questo a guardarsi interiormente, a rivolgere lo sguardo verso quel magma umano fatto di intelletto e paure ataviche. L’occhio diventa così simbolo di quell’ indugiare, tipicamente contemporaneo, in stati d’animo confusi tra desideri, istinti, ansie e predizioni.

Infine la concertista Serena Shan Yang Lin ha performato durante la White Night di Art City, suonando lo guzheng, tradizionale strumento cinese appartenente alla famiglia delle cetre. Ad occhi chiusi per tutta la durata dell’esibizione, l’artista ha improvvisato una raffinata ed evocativa musica d’ambiente, accompagnando i visitatori nella fruizione delle opere esposte. Propria dell’artista cinese è la capacità di subire, percepire e sentire un sentimento che non da preavvisi quando si prova e che non sempre si riesce a dominare: la passione. Quella della passione è una dedizione verso un oggetto così imperiosa da rendere tutto il resto insignificante; essa non ha controllo e non vive di controllo, perchè il regime della passione è di perdere il controllo del significato, della pluralità, della verità, dei fatti, dell’identità. Lo sa bene la Shan Yang Lin, come pure le altre tre artiste.

Queste, infatti, nel realizzare i propri lavori, sono state mosse da quella stessa passione che Santa Margherita, come un cilicio, ha indossato per poter mantenere viva la presenza-assenza di quell’unico bisogno che si era reso sovrano nel suo cuore.

Simona Tonti