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Infiltrazioni

Tomomi Takamatsu, Martina Scattaglia, Sara Menegatti, Giulia Giannerini, Federica Barbieri, Ida Bentinger, Chiara Gattavecchia, Monica Lasagni

Luogo dell’evento: Istituto Storico Parri – Museo della Resistenza, Bologna

Data dell’evento: dal 7 al 17 ottobre 2014

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Ancora una volta Casagallery all’interno dell’istituto Parri a Bologna, non sbaglia. I due curatori Claudio Rosi e Barbara Ceciliato riescono a cogliere le atmosfere di un istituto storico e amalgamarle con la storia dell’arte. Parlo di storia dell’arte perché gli artisti presenti nella mostra “Infiltrazioni” nella Giornata del Contemporaneo, hanno saputo filtrare tra il passato, la loro poetica e il contemporaneo.
Tomomi Takamatsu con “Ten little fingers”, appoggia un violino che non suona su una sedia che prende le sembianze di una culla. Il violino è avvolto in decorazioni fatte a mano sullo stile dell’arte liberty italiana nata a Bologna con il nome di Aemilia Ars. Il suo lavoro crea un ponte tra la tradizione e il presente in una scambio temporale tra i manufatti. L’artista ci trasmette solo la memoria del suono di un violino, non più suonato, accantonato in soffitta, ma non dimenticato. Lo strumento musicale non suona, ma evoca, ricorda, suggestiona. Risonanza visiva di un’arte trasformata, delicatamente impreziosita dai merletti. Il cucito tipico del lavoro femminile lo ammiriamo anche nella performance di Chiara Gattavecchia con “Destrutturazione” l’artista strappa il modulo del formato A4, per ricomporlo con ago e fili colorati secondo una “nuova struttura”, un nuovo dettame che appenderà come una nuova conoscenza. I fogli così ricomposti avranno nuove regole, trasmetteranno nuove idee, il riflesso della nuova esperienza dell’artista. Questo rito ricorda l’arte giapponese dello kintsugi: i cocci dei vasi rotti vengono uniti con resina mista ad oro, per creare un nuovo vaso più prezioso del precedente. Emerge una volontà di rottura che mira alla ricostruzione, ricucire per rinsaldare.
L’opera di Ida Bentinger, “Sometimes somethings leads to something”, è la coraggiosa risposta dell’artista alla provocazione di Francis Alÿs: “A volte fare qualcosa non porta a niente”. Un’opera pazientemente e sapientemente costruita, costituita da metri di tessuto imbottito dalle forme a tratti umane, che si perde in voluttuosi intrecci che culminano in ramificazioni che si espandono e sembrano convogliare un’energia positiva, quell’energia che è all’origine della vita. Un’opera che parla di fiducia, di tenacia che sarà ripagata, assumendo una forma che è impercettibile all’inizio di ogni percorso. Quest’opera è la forma della speranza, della capacità di andare avanti, procedendo a piccoli passi, senza arrendersi. E anche qui troviamo lo scorrere del tempo, l’intersezione tra i vari mondi reali e non, come nell’opera di Sara Menegatti che con un video riprende se stessa che indossa gli abiti di una famiglia trovati in una casa abbandonata. “Indossate memorie” attinte da vecchie foto lasciate durante il trasloco dalla famiglia. Troviamo un doppio titolo dell’opera “Interference”, come una consapevolezza dell’artista ad aver violato l’intimità di persone sconosciute e di esserne assorbita irrimediabilmente attraverso il luogo della memoria del loro passaggio.
Monica Lasagni con la performance “Intruso” si cela in una teca trasparente da cui non vede fuori perché ha gli occhi bendati, ma è vista e scelta dall’intruso. L’artista con gli occhi bendati si sente più libera, libera dai pregiudizi e dalle paure e sente di poter donarsi e comunicare con gli altri in modo indiretto attraverso un video che filma le sue emozioni. Con Federica Barbieri ritroviamo l’introspezione, il personale che inquieta. “Una storia” è un’opera di cinquecento occhi di carta che ci guardano con la pupilla bucata da un supporto di spine di cactus. E’ l’uomo che distrugge la natura o viceversa? L’opera pone una domanda a cui ogni spettatore attento dovrà rispondere attraverso la propria storia.
Giulia Dal Lago in “Cosa mi rende umano?” ci dona dei foglietti di carta stampati a mano, coinvolgendo lo spettatore e facendolo riflettere sulla sua condizione di uomo: la coscienza, l’indifferenza, la responsabilità, il turbamento, l’affettività ecc…. che cosa ci rende umano? Ancora dubbi, quesiti da risolvere per lo spettatore. Martina Scattaglia in “Senza patria né ciel”, disegna piccoli quadri di ragazzi disabili con la tecnica della pilot nera. I corpi diventano vuoti e le ombre materia, il segno della penna nera diventa ferita. L’artista conosce personalmente i soggetti disegnati e cerca di esplorare la vita di “persone diverse” attraverso il disegno, ma soprattutto cerca di esprimere la loro coscienza. La stessa artista propone anche una serie di trentanove diapositive “Dove amore e gioia e vita”, in cui una persona vaga nella foresta indossando una coperta di spago che la copre mentre percorre la strada della vita, della conoscenza, della scoperta, fino a quando alla trentanovesima diapositiva, la coperta l’abbandonerà e la persona sarà costretta a ripararsi all’interno della “casa”.
Giulia Giannerini espone la fotografia “Arabesque” in cui il ritratto del suo corpo di profilo si specchia e si guarda, intrecciando le forme con i disegni arabescati disegnati sopra alla pelle. Una Dea greca o un viaggio nelle decorazioni corporee dei riti tribali delle culture africane e orientali? L’artista ci propone anche un video “Il vuoto è in frigo”, dove assistiamo a un ciclico sovrapporsi di azioni quotidiane filmate in due tempi diversi, gestualità consuete e ripetute, agite forse a volte in modo inconsapevole. In questo accenno di routine mattutina si accavallano immagini e si porgono allo spettatore scorci di un vissuto di abitudini, in un continuo flusso di presente, un momento.

Rosetta Termenini e Sara Neva

CASAGALLERY Itinerante, “site specific” per giovani artisti, completa la sua collezione degli spazi espositivi, organizzando la mostra “Infiltrazioni” nello spazio straordinario della “Sala Reffettorio delle Monache” all’Istituto Storico Parri, a cura di Claudio Rosi con l’organizzazione di Barbara Ceciliato.
Ed è quello il posto eccezionale che da spazio ai protagonisti giovani dell’arte contemporanea come Ida Bentinger, Chiara Gattavecchia, Martina Scattaglia, Giulia dal Lago, Giulia Giannerini, Federica Barbieri, Tomomi Takamatsu, Sara Menegatti, Monica Lasagni.
La mostra propone una varietà formidabile delle forme e modalità (disegno, foto, scultura, istallazione, video, performance), dimostrando così la polivalenza e eterogeneità del linguaggio dell’arte contemporanea.
Essendo così multiforme dal punto di vista di media, la combinazione dei lavori colpisce per la sua integrità e coesione dal punto di vista dell’idea principale. I lavori sembrano tutti uniti e collegati tra di loro. Non per caso il concetto di “filo” sia come simbolo di vita e sviluppo, ma anche come metafora di connessione tra i fenomeni, diventa un leitmotiv della mostra.
E’ quello concetto unificante che condiziona in qualche modo anche la struttura della mostra. Come non è sempre lineare il filo, è poco lineare anche la struttura della mostra. Ma nello stesso momento l’idea del filo prevede anche l’idea del movimento e direzione. Il primo lavoro che vede lo spettatore, entrando nello spazio, è la scultura cucita “Sometimes something leads to something” di Ida Bentinger che, essendo una specie di organismo vegetale, prosegue o cresce in tre direzioni diverse. Una delle ramificazioni del questo albero della vita porta lo spettatore nella seconda sala. Questa opera diventa una metafora della vita, difficile, tortuosa e imprevedibile, ma chiama l’essere umano alla pazienza.
Questa opera è in assoluta sintonia con il performance di Chiara Gattavecchia “Destrutturazione”. L’artista strappa i pezzi di carta per dopo cucirli insieme con i fili colorati e per provare di ricreare la forma che egli avevano prima, mostrando l’impossibilità di destrutturazione del oggetto distrutto e l’irreversibilità della vita. L’opera diventa un’illustrazione della complessa idea filosofica espressa nelle parole di Eraclito “non potresti entrare due volte nello stesso fiume”.
Nella terza sala c’è un’altra opera che fa un commento sul concetto del filo. I’idea dell’opera “Ten Little Fingers” di Tomomi Takamatsu è di rendere visibili le cose invisibili, di mostrare l’impegno e le emozioni del bambino che suona lo strumento musicale e di rappresentare tramite i fili la traiettoria dei movimenti durante l’esecuzione.
Anche la performance meravigliosa di Monica Lasagni che si chiama “Intruso” elabora il concetto del filo come una metafora della vita, della connesione, questa volta tramite la presenza dei capelli sul vestito candido dell’artista. La posizione statica dell’artista durante il performance rimanda in qualche modo all’idea della morte, del sonno profondo e del continuo, ma a volte invisibile cambiamento della vita. L’idea del filo non è l’unico significato della mostra, ma ciò che il filo rappresenta (vita, connessione, ricostruzione, radice, movimento, direzione) unisce tuttte le opere, dando coerenza e integrità all’insieme.

Anna Gorchakovskaya