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I would like a white cover

Francesca No.

Luogo dell’evento: Vicolo Cattani, 4/B (1° sede di Casagallery Itinerante)

Data dell’evento: Novembre 2008

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Mi sia concesso un preambolo, una sorta di momento di riflessione apparentemente lontana dal focus che la struttura di una critica dovrebbe avere nel centrare lapidariamente la poetica dell’opera. “Centrare”… scusate se insistito ma, come il potere delle immagini, anche le parole, la loro formalità, il loro uso e accostamento hanno il potere, se sapientemente dosati, di far comprendere. Ebbene, dunque, la metafora di critico come un tiratore d’arco che cerca di capire come colpire perfettamente il centro del bersaglio: più tesa è la corda e maggiore è l’allungo, più incisivo sarà l’affondo nella semiosi dell’opera. Ancora dunque perdonate il mio libraggio ma l’esperienza insegna e dalla faretra mi è concessa una sola possibilità.

Partendo dal titolo dell’esposizione “I would like a white cover” ovvero “Vorrei una copertina bianca” si può già calibrare una potente ipotesi di ricerca che versa in direzione di una dimensione introspettiva e intimistica. Come non ricordare Linus e la consunta coperta che dal 1954 anima una delle strisce di fumetti più famosa della storia? Proprio come uno dei personaggi di Schulz Francesca No cerca la propria “coperta di sicurezza” e, sapendo dove cercare, molto generosamente mette a disposizione lo spazio caldo e accogliente concesso dalla propria arte al dominio pubblico. La metafora fumettistica non riguarda la formalità delle opere ma il contenuto concettuale di cui sono investiti gli elementi che appartengono alla quotidianità e che la poetica di No trasforma magistralmente in arte. La dimensione domestica viene sviscerata nella ricerca di una porzione affettiva legata al ricordo e alla patina che la memoria conserva in sé: con nostalgia ma senza assoluta traccia di rimpianto la giovane artista ricostruisce i “tempi della meraviglie”, ne diventa complice e protagonista creando dei “reperti” del proprio vissuto che, sotto le spoglie dell’assurdo e illogico, partecipano al gioco estetico dello straneamento. E se la decontestualizzazione insinua dubbi sul reale attraverso la sua stessa rappresentazione, Francesca No non intende soggettivare la dinamica intimistica in senso assoluto per interpretare il reale o per documentarne la sostanza perché, si sa, la consapevolezza del presente è oggettiva mentre è il futuro, intrinsecamente incerto, a richiedere lo spazio mentale di una “white cover”, di una sicurezza a cui appellarsi nel momento in cui il destino di ognuno si affaccia al domani.
Metaforicamente per l’artista non contano gli strumenti per “lavorare” la trama di questa “maglia artistica” perché sia il video che la fotografia così come l’incisione o l’installazione contribuiscono ad affermare, ognuno con la propria potenza linguistica, la poetica di No che affermando: “Non la tecnica ma il sentimento è quel profumo che impregna e caratterizza i molteplici risultati che mi autosomministro” non fa che confermare l’ipotesi di una profonda ricerca introspettiva in cui il la sfera emozionale viene anatomizzata.
Mi soffermo ancora sul senso di “I would like a white cover” nello specifico dell’opera eponima che controbilancia nella forma pura ma non nel significato la ricerca di Francesca No: il libro come sunto esistenziale diventa il segno neutro e asettico di una storia individuale che si vorrebbe scrivere da sé, senza mediazioni di alcun tipo e senza compromessi con il “Sistema” attuale che non condivide la dimensione passionale della vita; accorciando simbolicamente la distanza tra realtà e idealizzazione della stessa, la giovane artista invita a riflettere e a giocare con l’immaginazione su ciò che ognuno di noi potrebbe scrivere/essere: pagine di vita forse realizzabili.
Chiudo con una citazione da un leitmotiv di Disney che racchiude, pur nella apparente banalità della dimensione fantastica del cartoon, il senso stesso della vita e della “White cover” di Francesca No: “I sogni son desideri…di felicità”. Cosi cantava Biancaneve. E con quale costanza l’essere umano si impegna se non nella ricerca eudemonica?

Alice Zannoni